Per mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico

“Singoli episodi, marginali ed isolati, rispetto ai quali può essere espresso un giudizio di biasimo, quali il lancio dello stipendio sul tavolo, la consegna della retribuzione in un sacco di monetine, non costituiscono sufficiente prova di un generale atteggiamento emarginante, discriminatorio o persecutorio nei confronti della lavoratrice”.

Lo ha stabilito la sezione lavoro della Corte di Cassazione, con sentenza depositata il 31 maggio, riaffermando alcuni principi generali in tema:

“Per mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisio-psichico e del complesso della sua personalità.

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto rilevanti:

a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;

b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;

c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore;

d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.

La domanda di risarcimento del danno proposta dal lavoratore per il mobbing subito è soggetta a specifica allegazione e prova in ordine agli specifici fatti asseriti come lesivi (Cass. n. 19053/2005).

Cass. 6 marzo 2006, n. 4774, ha poi ritenuto che l’illecito del datore di lavoro nei confronti del lavoratore consistente nell’osservanza di una condotta protratta nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all’emarginazione del dipendente (c.d. Mobbing) – che rappresenta una violazione dell’obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall’art. 2087 c.c. – si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimentali dello stesso datore di lavoro indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata – procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi – considerando l’idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, delle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza della violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato” (presidente Fabrizio Miani Carnevari, relatore Antonio Filabozzi).

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