LA VALUTAZIONE PER IL CONTROLLO DEI RISCHI
La valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro e la predisposizione dei conseguenti documenti è uno degli elementi di più grande rilevanza del D.Lgs 626/94. Essa rappresenta, infatti, l'asse portante della nuova filosofia in materia di tutela della salute dei lavoratori che vede nel datore di lavoro il protagonista attivo della funzione prevenzionale; essa costituisce, inoltre, il perno intorno al quale deve ruotare l'organizzazione aziendale della prevenzione.
E' quindi necessario che quanto previsto dall’art. 4 (in particolare ai commi 1 e 2) trovi adeguata ed estesa applicazione anche con l'impegno della Regione e dei Servizi di prevenzione e vigilanza delle Aziende Usl.
E' con questo spirito e nell'intento di fornire indirizzi interpretativi ed operativi ai Servizi, affinché orientino in modo omogeneo la loro attività verso l'utenza, che sono state predisposte le seguenti note.
Pare opportuno richiamare l'attenzione sulla facoltà concessa dal D.Lgs 626/94 al datore di lavoro di avvalersi, nella valutazione del rischio, delle procedure ritenute di volta in volta più appropriate ed efficaci, nel rispetto delle indicazioni contenute nello stesso testo di legge (è da privilegiare, infatti, il RISULTATO rispetto al PROCESSO!).
1.1 Campo di applicazione
Il D.Lgs 626/94 allarga di fatto il campo di applicazione in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori ad imprese ed enti, anche della PA (Pubblica Amministrazione), finora coinvolti in minore misura in tali attività e a settori nuovi quali, ad esempio, la navigazione marittima ed aerea.
Per alcuni settori, tuttavia, l’applicazione delle norme del D.Lgs 242/96 deve essere modulata in funzione delle particolari esigenze degli specifici servizi. I settori per i quali sono previste peculiari modalità di applicazione della norma sono stati ampliati comprendendo, oltre alle Forze armate e di Polizia e ai servizi di Protezione civile, anche le strutture giudiziarie, penitenziarie, quelle destinate per attività istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, le università, gli istituti di istruzione universitaria, gli istituti di istruzione e di educazione di ogni ordine e grado, le rappresentanze diplomatiche e consolari ed i mezzi di trasporto marittimi ed aerei.
Le esigenze specifiche dovevano essere individuate in appositi decreti (ad es.: DM 338/97 su strutture giudiziarie e penitenziarie) da emanarsi entro 6 mesi dalla data di pubblicazione del D.Lgs 626 bis, alcuni dei quali sono già stati emanati (vedi capitolo 2 del Documento n. 7 “Applicazione del D.Lgs 626/94 nella Pubblica Amministrazione”, a cui si rimanda). Nelle realtà non previste da tali decreti la norma deve essere applicata comunque.
Appare, pertanto, utile ricordare che tutti i datori di lavoro, indipendentemente dal numero dei loro dipendenti, dal settore lavorativo delle loro aziende, siano esse di natura pubblica o privata, sono soggetti all'obbligo di valutare i rischi connessi con l'attività da essi esercita.
Un'attività di informazione attiva da parte dei Servizi, soprattutto rivolta a quei settori finora meno coinvolti su questi temi (artigianato e piccolissime imprese, Pubblica Amministrazione), costituisce una priorità nella programmazione dell'attività dei Servizi di prevenzione e vigilanza delle Aziende Usl.
1.2 Significato della valutazione
La valutazione dei rischi lavorativi di cui al D.Lgs 626/94 si iscrive nel più ampio e complessivo utilizzo a livello internazionale del metodo del "risk assessment", che coinvolge anche molti aspetti relativi ai costi ambientali del progresso e dell'uso delle risorse naturali.
L'orientamento comunitario, in generale, è quello di fondare le iniziative legislative e la definizione delle priorità dell'intervento su un'analisi partecipata e strutturata in merito alla "accettabilità" sociale dei rischi e alla valutazione dei costi e dei benefici che la loro riduzione comporta per la comunità.
Di per sé il "risk assessment" non porta automaticamente al "risk management", cioè alla risoluzione o al contenimento dei problemi evidenziati, ma ha il vantaggio di portarli alla luce e farne oggetto di valutazione sociale, di studio, di programmi articolati.
Questo è il contesto culturale da cui il D.Lgs 626/94 trae origine e che va armonizzato con il vigente assetto normativo che mantiene la sua validità.
Infatti nessuna facoltà d'arbitrio è concessa al datore di lavoro in merito all'applicazione o meno delle norme vigenti in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, che devono essere comunque rispettate, per cui l'obiettivo della valutazione non può essere la scelta di quali tra i vincoli normativi previsti siano i più opportuni o convenienti da adottare.
L'applicazione dell'art. 4 fornisce anche uno strumento per avviare una riorganizzazione razionale e pianificata della produzione nei suoi diversi componenti (macchine, procedure, spazi, organizzazione, ...) al fine di raggiungere l'obiettivo di una sostanziale riduzione e/o del controllo dei fattori di rischio presenti, nel rispetto della legislazione nazionale e delle norme di buona tecnica prodotte da organismi accreditati (UNI-EN, CEI, ecc.).
La necessità che nell'impresa si proceda ad una stretta integrazione tra la produzione, tutte le funzioni aziendali ad essa collegate (direzione lavori, acquisti, gestione del personale, manutenzione, ecc.), e la prevenzione dei rischi da essa derivanti al fine di progettare "lavoro sicuro", è chiaramente esplicitata tra le misure generali di tutela indicate nell'art. 3. Tra queste, infatti, al comma 1 lettera d) viene indicata "la programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive ed organizzative dell'azienda nonché l'influenza dei fattori dell'ambiente di lavoro".
La valutazione del rischio deve essere, pertanto, uno strumento fortemente finalizzato alla programmazione delle misure di prevenzione e più in generale alla organizzazione della funzione e del sistema prevenzionale aziendale.
L'esame sistematico dei problemi di prevenzione in tutti gli aspetti dell'attività lavorativa non dovrà trascurare le situazioni di lavoro che esulano dalla routine (manutenzione, pulizia, arresto e riattivazione di impianti, cambio di lavorazioni, ...), come chiaramente indicato negli orientamenti CEE.
Non va persa di vista la natura di processo partecipato che la valutazione deve assumere, sia a garanzia di aver raccolto tutta l'informazione disponibile sui fattori di rischio (tra cui le trasformazioni che l'organizzazione del lavoro "formale" subisce, all'atto della sua concreta messa in pratica da parte dei lavoratori), sia per ottenere il coinvolgimento attivo di tutte le parti in causa nella ricerca delle soluzioni più efficaci e nella loro applicazione.
Non va infatti dimenticato, per esempio, che gli studi del fenomeno infortunistico che utilizzano un approccio solo "deterministico", mirato ad identificare cause di infortunio solo in errori umani o in inconvenienti tecnici o in deficienze strutturali, presentano limiti importanti ed insolubili se non affrontano anche le interconnessioni con il tessuto organizzativo della produzione. A quanto sopra detto rimanda peraltro, in modo esplicito, anche il punto 1d) dell'art. 3 ("Misure generali di tutela").
Il processo di partecipazione dei lavoratori attraverso le loro rappresentanze è dunque dovuto per legge, oltre che fortemente auspicabile.
Comunque la mancata designazione/elezione del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza non può costituire un pretesto né una scusante per eventuali rinvii nell'applicazione del D.Lgs 626/94 da parte dei datori di lavoro e le Regioni e le Aziende USL si impegneranno affinché ciò non si verifichi.
1.3 La soggettività nel valutare
Per tutti i problemi di prevenzione non riconducibili ad un confronto con uno standard normativo o tecnico di riferimento, la valutazione dei rischi comporta inevitabilmente un contributo della soggettività del/dei valutatore/i nell'attribuire loro maggiore o minore rilevanza e, di conseguenza, un equivalente valore nella programmazione degli interventi.
In particolare possono pesare negativamente nella valutazione quegli elementi di percezione soggettiva del rischio che spesso, più che caratterizzare un singolo soggetto, fanno parte di una certa "cultura d'impresa", là dove un'abituale sottostima del rischio ha alimentato l'abitudine a considerare "normali" procedure, attrezzature, metodi, del tutto inadeguati.
In quelle situazioni si rende necessario uno sforzo rilevante, da parte del datore di lavoro, in termini di comunicazione e di formazione corretta sui rischi lavorativi, perché la presa di coscienza dell'esistenza di un rischio non rappresenti un evento episodico, non condiviso e, come tale, non generatore di cambiamenti significativi.
A mitigare la soggettività del valutatore possono contribuire l'uso razionale di misure di igiene industriale, nonché la raccolta della sintomatologia eventualmente accusata dai lavoratori. Inoltre l’accurata consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e la raccolta critica dei giudizi soggettivi dei lavoratori rappresenta un momento decisivo per l’integrazione delle conoscenze di quegli aspetti di rischio che sfuggono o sono sottovalutati dal management.
Il datore di lavoro e/o il valutatore utilizzeranno documentazione tecnica e scientifica in materia potendosi rivolgere anche ai Servizi di prevenzione e vigilanza delle Aziende Usl o ai centri regionali di documentazione.
1.4 Valutazione semplificata e primi approcci alla valutazione
Per incentivare la massima estensione dell'attività di valutazione da parte dei datori di lavoro si favorirà, soprattutto nelle imprese di piccole dimensioni e rischi modesti, la semplificazione delle procedure di valutazione, che dovranno essere tese a raccogliere le informazioni sufficienti, dati e notizie all’uopo pertinenti e rilevanti.
A tal fine sarà utile, nelle indicazioni da fornire alle imprese, chiarire che per "valutazione del rischio" è da intendersi principalmente l'individuazione dei possibili centri/fonti di pericolo per la sicurezza e la salute dei lavoratori, l'identificazione dei lavoratori potenzialmente esposti a rischio e la valutazione dell'entità dell'esposizione.
A tale proposito si potrà suggerire l'utilizzazione in prima istanza, ove possibile e adeguata, di metodi e criteri di valutazione approssimata del rischio in grado di distinguere chiaramente condizioni francamente accettabili da situazioni francamente non accettabili. Tali metodi possono consistere anche in valutazioni di tipo induttivo (quantità di materiale utilizzato, cubatura, ventilazione) o semiquantitativo. Sarà possibile di conseguenza identificare quelle situazioni in cui è necessario un approfondimento da realizzare con più complesse procedure analitiche.
Non è necessario, salvo casi particolari da individuare, che la "valutazione del rischio" comprenda stime probabilistiche di accadimento di guasti o di eventi accidentali così come, invece, previsto dalla normativa vigente per le imprese a rischio di incidente rilevante (DPR 175/88 e successive modifiche ed integrazioni).
Di grande utilità per l'utenza, accanto al modello di documento di valutazione proposto per le piccole e medie imprese con DM 5/12/96, sarà l'avvalersi di linee guida di valutazione con riferimento al settore e al comparto produttivo tenuto conto della variabile distribuzione dei diversi rischi lavorativi nei diversi settori.
E' questo un impegno che, in una seconda fase, potrebbe essere organizzato e coordinato a livello regionale utilizzando il lavoro già svolto dalle diverse strutture pubbliche di prevenzione ed individuando centri di riferimento per specifiche tematiche (es.: linee guida ISPESL).
Da quanto sopra emerge l'indicazione che l'elemento centrale degli adempimenti previsti dall'art. 4 appare essere "l'individuazione delle misure preventive e di protezione" definite o programmate, per la cui realizzazione dovranno essere scelti tempi e metodi congrui con la valutazione di gravità del rischio.
E' opportuno, a questo proposito, che vengano individuate scale qualitative circa l'urgenza dei provvedimenti da assumere, formulate anche in base ad eventuali programmi di sviluppo aziendali. Tenendo presente che non è accettabile mantenere in atto inadempienze a precisi obblighi di legge, dovranno essere definite misure accessorie di natura organizzativa o procedurale in grado di provvedere al controllo ed alla riduzione del rischio nel periodo che intercorre tra la sua individuazione e la messa in atto dell'intervento tecnico risolutivo.
Le fasi procedurali possono essere quelle proposte nel documento CEE (Tab. 4), ma a tal proposito va precisato che non sempre è possibile fare a priori una stima significativa della gravità degli effetti derivanti da un'esposizione e della probabilità che tali effetti si manifestino.
In tali casi è preferibile affidarsi ad uno studio approfondito della specifica situazione lavorativa e procedere secondo una logica squisitamente prevenzionistica.
1.5 Quando iniziare il processo di valutazione
La valutazione dei rischi e la stesura dei conseguenti atti documentali andava ravvisata, in sede di prima applicazione, come un processo che iniziava praticamente con l’entrata in vigore del D.Lgs 626/94 per trovare precisa formalizzazione entro l’1/7/96 per:
· le aziende industriali di cui all’art. 1 del Decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988, n. 175 e successive modifiche, soggette all’obbligo di dichiarazione o notifica, ai sensi degli articoli 4 e 6 del decreto stesso,
· le centrali termoelettriche,
· gli impianti e laboratori nucleari,
· le aziende per la fabbricazione e il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni,
· le aziende industriali con oltre duecento dipendenti,
· le industrie estrattive con oltre cinquanta lavoratori dipendenti,
- vedi l’art. 8, comma 5, lettere a), b), c), d), e) ed f) -, ed entro l’1/1/97 per tutte le altre attività lavorative. In altri termini, il tempo previsto andava inteso come la disponibilità, per i datori di lavoro, per attivare e portare a compimento il processo di valutazione e di eventuale programmazione dei relativi interventi di prevenzione.
Per le nuove attività lavorative il datore di lavoro è invece tenuto ad elaborare il documento di valutazione ovvero a redigere l'autocertificazione entro tre mesi dall'effettivo inizio dell'attività.
Ogni sforzo andrà operato affinché, presso i datori di lavoro, non si ingeneri la “convinzione” che ci si può cominciare ad occupare del problema solo alla scadenza dei termini.
Poiché la valutazione dei rischi complessivi presenti in una azienda e la stesura dei conseguenti programmi di prevenzione è, per lo più, un atto tecnico tutt'altro che semplice, diviene naturale suggerire ai datori di lavoro di reperire al più presto quelle competenze tecnico-professionali che li mettano in grado di assolvere adeguatamente al proprio compito, al di là della formalizzazione degli incarichi.
Per quel che riguarda la figura del medico competente, esso potrà essere formalmente incaricato (con documentazione scritta) sin da subito in tutti quei casi in cui la normativa vigente prevede un obbligo già definito a priori di sottoporre i dipendenti ad accertamenti sanitari periodici. A tal fine si farà riferimento alla tabella annessa all'art. 33 del DPR 303/56, al DPR 1124/65 per quanto riguarda il rischio determinato dall'esposizione a silice e ad asbesto, al DPR 962/82 per il rischio da CVM, al D.Lgs 277/91 per l'esposizione a piombo e a rumore, al D.Lgs 626/94 in caso di addetti a lavoro con VDT, così come definiti dall'art. 51.
Nel caso, invece, in cui la necessità e l'obbligo di sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria sia condizionato dalla preventiva valutazione dell'esistenza del rischio, come ad esempio nel caso della movimentazione manuale di carichi, dell'esposizione a cancerogeni e ad agenti biologici, la nomina del medico competente potrà essere effettuata successivamente una volta conclusa la fase di valutazione.
1.6 Chi concorre alla valutazione
L'obbligo di realizzare il processo di valutazione, controllo e gestione dei rischi lavorativi riguarda essenzialmente il datore di lavoro.
E' evidente tuttavia che dal punto di vista tecnico, operativo e procedurale il datore di lavoro dovrà allo scopo avvalersi di alcune competenze professionali e gestionali, peraltro in larga misura indicate ai commi 5 e 6 dell'art. 4 del D.Lgs 626/94.
In primo luogo è opportuno prevedere che al processo di valutazione/gestione dei rischi partecipi l'intera "linea" aziendale rappresentata dai dirigenti e dai preposti; gli stessi sono infatti, al contempo, depositari di importanti conoscenze e titolari di obblighi, per cui è opportuno prevedere un loro ampio coinvolgimento in questa fase del processo.
Alla valutazione collaborano altresì il responsabile (e/o gli addetti) del servizio di prevenzione e protezione nonché, ove previsto, il medico competente: essi forniscono il loro contributo di conoscenze, per il rispettivo ambito professionale, utili all'inquadramento (e qualificazione) dei rischi lavorativi e alle strategie più idonee per il loro contenimento.
La valutazione si avvale, inoltre, del contributo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza il quale da un lato, laddove adeguatamente formato (art. 22, comma 4), è a sua volta ravvisabile come una specifica risorsa tecnica, e dall'altro lato costituisce il punto di riferimento ed il collettore delle specifiche conoscenze, esperienza e valutazione dei lavoratori, che pure rivestono grande importanza nel processo di controllo dei rischi lavorativi, come d'altronde stabilito in diversi punti del decreto legislativo (si veda ad es. l'art. 4, comma 5, punto m; art. 5, comma 2, punti d ed h).
Infine, al processo di valutazione e gestione dei rischi partecipano, più o meno direttamente, i progettisti, i fabbricanti, i fornitori e gli installatori; gli stessi, infatti, nel rispettare il dettato dell'art. 6, devono anche fornire informazioni relative a criteri, ambiti e limiti per l'utilizzazione (sicura) di ambienti, impianti e strumenti di lavoro. La scrupolosa verifica del rispetto di tali criteri da parte degli altri soggetti protagonisti della valutazione rappresenta un ulteriore rilevante contributo al processo generale di valutazione e gestione dei rischi.
1.7 Le sanzioni previste
L'obbligo di valutazione generale sancito dall'art. 4, comma 1, che impone al datore di lavoro di valutare i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori nell'osservanza delle misure di sicurezza previste dall'art. 3, non è sanzionato; invece l'art. 89 prevede la sanzione, solo a carico del datore di lavoro, nel caso in cui il documento relativo alla valutazione ovvero l’autocertificazione non venga elaborato.
Il documento di valutazione dei rischi deve contenere una relazione sulla valutazione dei rischi che specifichi i criteri adottati per eseguire la valutazione, le misure di prevenzione e di protezione e i dispositivi di protezione individuale (DPI) individuati in conseguenza della valutazione dei rischi, il programma di attuazione delle misure ritenute opportune per migliorare i livelli di sicurezza.
Le disposizioni transitorie e finali determinavano l’obbligo di adottare le misure di cui all’art. 4 (commi 1, 2, 4 e 11) entro l’1/7/96 per le aziende di cui all’art. 8 comma 5, lettere a), b), c), d), e) ed f), entro l’1/1/97 per tutte le altre attività lavorative, mentre determinano l'obbligo di adottare le misure di cui all'art. 4 (ancora ai commi 1, 2, 4 e 11) entro tre mesi per le nuove aziende.
Tali disposizioni richiedono essenzialmente che la programmazione della sicurezza nei luoghi di lavoro sia avviata con i tempi, le cadenze, le forme e gli strumenti prescritti.
Eventuali inadempienze di procedura (effettuazione e tempi) nella elaborazione del piano di sicurezza sono sanzionate.
Non viene, al contrario, sanzionato l'errore di merito che possa essere commesso nell'individuazione dei rischi e delle misure di prevenzione. Il datore di lavoro non risponderà, quindi, sotto il profilo penale per aver commesso errori od omissioni nella valutazione ma se, in conseguenza di tale errore valutativo, avrà omesso le misure necessarie a tutela dei suoi dipendenti.
A tale principio si richiama l'attenzione dei Servizi di prevenzione e vigilanza delle Aziende Usl che dovranno utilizzare questo documento a peculiari fini di assistenza alle procedure di valutazione (vedi note del documento della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome “Prime linee di indirizzo per l'attuazione del D.Lgs n. 626/94 di recepimento delle Direttive CEE per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro”, febbraio 1995) e non già come indicazioni per contestare inadempienze relative a modalità o conclusioni della valutazione in merito alle quali il datore di lavoro si assume la responsabilità della correttezza degli atti compiuti e delle azioni programmate.
L'art. 89, comma 2, lett. a) prevede anche un’ammenda a carico del datore di lavoro nel caso in cui in occasione di modifiche del processo produttivo non effettui una nuova valutazione e non elabori un nuovo documento (art. 4, comma 7).
Per i cancerogeni (art. 63, comma 5) e gli agenti biologici (art. 78, comma 3) il datore di lavoro deve ripetere la valutazione, oltre che per significative modifiche nel ciclo di lavoro, ogni tre anni. Questa inadempienza è sanzionata.
L'art. 89, comma 2, prevede la sanzione nel caso in cui il datore di lavoro non si avvalga della collaborazione del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione e del medico competente, previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nell'effettuare la valutazione e nell'elaborare il documento (art. 4, comma 6).
Non sanzionato, invece, l’obbligo di inviare l’autocertificazione di cui all’art. 4, comma 11, al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Tale obbligo, infatti, è riportato nel secondo periodo dell’art. 4, comma 11, mentre la sanzione prevista dall’art. 89 riguarda solo il primo periodo.
Di fronte alla questione se il documento di valutazione debba o meno far menzione dell'eventuale riscontro di inadempienze a norme già vigenti è opportuno non incoraggiare la redazione di documenti falsi o incompleti.
Si indicherà al datore di lavoro la necessità di provvedere immediatamente, man mano che si evidenziano problemi di prevenzione, se si tratta di applicare soluzioni note, di semplice e rapida attuazione (posizionamento o ripristino di carter, fotocellule, finecorsa di sicurezza; rimozione di ingombri che impediscono l'apertura di porte/finestre e/o ostacolano la circolazione di mezzi o persone; chiusura contenitori, ecc.).
Nel caso di interventi che richiedono uno studio specifico o il ricorso a specialisti o sono comunque di più complessa attuazione dovranno essere programmati ed esplicitati nel documento prevedendo:
a) tempi di realizzazione congrui e contenuti;
b) misure tecniche, organizzative o procedurali idonee a limitare e controllare il fattore di rischio individuato, in attesa di una sua definitiva rimozione.
E' quindi necessario che quanto previsto dall’art. 4 (in particolare ai commi 1 e 2) trovi adeguata ed estesa applicazione anche con l'impegno della Regione e dei Servizi di prevenzione e vigilanza delle Aziende Usl.
E' con questo spirito e nell'intento di fornire indirizzi interpretativi ed operativi ai Servizi, affinché orientino in modo omogeneo la loro attività verso l'utenza, che sono state predisposte le seguenti note.
Pare opportuno richiamare l'attenzione sulla facoltà concessa dal D.Lgs 626/94 al datore di lavoro di avvalersi, nella valutazione del rischio, delle procedure ritenute di volta in volta più appropriate ed efficaci, nel rispetto delle indicazioni contenute nello stesso testo di legge (è da privilegiare, infatti, il RISULTATO rispetto al PROCESSO!).
1.1 Campo di applicazione
Il D.Lgs 626/94 allarga di fatto il campo di applicazione in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori ad imprese ed enti, anche della PA (Pubblica Amministrazione), finora coinvolti in minore misura in tali attività e a settori nuovi quali, ad esempio, la navigazione marittima ed aerea.
Per alcuni settori, tuttavia, l’applicazione delle norme del D.Lgs 242/96 deve essere modulata in funzione delle particolari esigenze degli specifici servizi. I settori per i quali sono previste peculiari modalità di applicazione della norma sono stati ampliati comprendendo, oltre alle Forze armate e di Polizia e ai servizi di Protezione civile, anche le strutture giudiziarie, penitenziarie, quelle destinate per attività istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, le università, gli istituti di istruzione universitaria, gli istituti di istruzione e di educazione di ogni ordine e grado, le rappresentanze diplomatiche e consolari ed i mezzi di trasporto marittimi ed aerei.
Le esigenze specifiche dovevano essere individuate in appositi decreti (ad es.: DM 338/97 su strutture giudiziarie e penitenziarie) da emanarsi entro 6 mesi dalla data di pubblicazione del D.Lgs 626 bis, alcuni dei quali sono già stati emanati (vedi capitolo 2 del Documento n. 7 “Applicazione del D.Lgs 626/94 nella Pubblica Amministrazione”, a cui si rimanda). Nelle realtà non previste da tali decreti la norma deve essere applicata comunque.
Appare, pertanto, utile ricordare che tutti i datori di lavoro, indipendentemente dal numero dei loro dipendenti, dal settore lavorativo delle loro aziende, siano esse di natura pubblica o privata, sono soggetti all'obbligo di valutare i rischi connessi con l'attività da essi esercita.
Un'attività di informazione attiva da parte dei Servizi, soprattutto rivolta a quei settori finora meno coinvolti su questi temi (artigianato e piccolissime imprese, Pubblica Amministrazione), costituisce una priorità nella programmazione dell'attività dei Servizi di prevenzione e vigilanza delle Aziende Usl.
1.2 Significato della valutazione
La valutazione dei rischi lavorativi di cui al D.Lgs 626/94 si iscrive nel più ampio e complessivo utilizzo a livello internazionale del metodo del "risk assessment", che coinvolge anche molti aspetti relativi ai costi ambientali del progresso e dell'uso delle risorse naturali.
L'orientamento comunitario, in generale, è quello di fondare le iniziative legislative e la definizione delle priorità dell'intervento su un'analisi partecipata e strutturata in merito alla "accettabilità" sociale dei rischi e alla valutazione dei costi e dei benefici che la loro riduzione comporta per la comunità.
Di per sé il "risk assessment" non porta automaticamente al "risk management", cioè alla risoluzione o al contenimento dei problemi evidenziati, ma ha il vantaggio di portarli alla luce e farne oggetto di valutazione sociale, di studio, di programmi articolati.
Questo è il contesto culturale da cui il D.Lgs 626/94 trae origine e che va armonizzato con il vigente assetto normativo che mantiene la sua validità.
Infatti nessuna facoltà d'arbitrio è concessa al datore di lavoro in merito all'applicazione o meno delle norme vigenti in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, che devono essere comunque rispettate, per cui l'obiettivo della valutazione non può essere la scelta di quali tra i vincoli normativi previsti siano i più opportuni o convenienti da adottare.
L'applicazione dell'art. 4 fornisce anche uno strumento per avviare una riorganizzazione razionale e pianificata della produzione nei suoi diversi componenti (macchine, procedure, spazi, organizzazione, ...) al fine di raggiungere l'obiettivo di una sostanziale riduzione e/o del controllo dei fattori di rischio presenti, nel rispetto della legislazione nazionale e delle norme di buona tecnica prodotte da organismi accreditati (UNI-EN, CEI, ecc.).
La necessità che nell'impresa si proceda ad una stretta integrazione tra la produzione, tutte le funzioni aziendali ad essa collegate (direzione lavori, acquisti, gestione del personale, manutenzione, ecc.), e la prevenzione dei rischi da essa derivanti al fine di progettare "lavoro sicuro", è chiaramente esplicitata tra le misure generali di tutela indicate nell'art. 3. Tra queste, infatti, al comma 1 lettera d) viene indicata "la programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive ed organizzative dell'azienda nonché l'influenza dei fattori dell'ambiente di lavoro".
La valutazione del rischio deve essere, pertanto, uno strumento fortemente finalizzato alla programmazione delle misure di prevenzione e più in generale alla organizzazione della funzione e del sistema prevenzionale aziendale.
L'esame sistematico dei problemi di prevenzione in tutti gli aspetti dell'attività lavorativa non dovrà trascurare le situazioni di lavoro che esulano dalla routine (manutenzione, pulizia, arresto e riattivazione di impianti, cambio di lavorazioni, ...), come chiaramente indicato negli orientamenti CEE.
Non va persa di vista la natura di processo partecipato che la valutazione deve assumere, sia a garanzia di aver raccolto tutta l'informazione disponibile sui fattori di rischio (tra cui le trasformazioni che l'organizzazione del lavoro "formale" subisce, all'atto della sua concreta messa in pratica da parte dei lavoratori), sia per ottenere il coinvolgimento attivo di tutte le parti in causa nella ricerca delle soluzioni più efficaci e nella loro applicazione.
Non va infatti dimenticato, per esempio, che gli studi del fenomeno infortunistico che utilizzano un approccio solo "deterministico", mirato ad identificare cause di infortunio solo in errori umani o in inconvenienti tecnici o in deficienze strutturali, presentano limiti importanti ed insolubili se non affrontano anche le interconnessioni con il tessuto organizzativo della produzione. A quanto sopra detto rimanda peraltro, in modo esplicito, anche il punto 1d) dell'art. 3 ("Misure generali di tutela").
Il processo di partecipazione dei lavoratori attraverso le loro rappresentanze è dunque dovuto per legge, oltre che fortemente auspicabile.
Comunque la mancata designazione/elezione del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza non può costituire un pretesto né una scusante per eventuali rinvii nell'applicazione del D.Lgs 626/94 da parte dei datori di lavoro e le Regioni e le Aziende USL si impegneranno affinché ciò non si verifichi.
1.3 La soggettività nel valutare
Per tutti i problemi di prevenzione non riconducibili ad un confronto con uno standard normativo o tecnico di riferimento, la valutazione dei rischi comporta inevitabilmente un contributo della soggettività del/dei valutatore/i nell'attribuire loro maggiore o minore rilevanza e, di conseguenza, un equivalente valore nella programmazione degli interventi.
In particolare possono pesare negativamente nella valutazione quegli elementi di percezione soggettiva del rischio che spesso, più che caratterizzare un singolo soggetto, fanno parte di una certa "cultura d'impresa", là dove un'abituale sottostima del rischio ha alimentato l'abitudine a considerare "normali" procedure, attrezzature, metodi, del tutto inadeguati.
In quelle situazioni si rende necessario uno sforzo rilevante, da parte del datore di lavoro, in termini di comunicazione e di formazione corretta sui rischi lavorativi, perché la presa di coscienza dell'esistenza di un rischio non rappresenti un evento episodico, non condiviso e, come tale, non generatore di cambiamenti significativi.
A mitigare la soggettività del valutatore possono contribuire l'uso razionale di misure di igiene industriale, nonché la raccolta della sintomatologia eventualmente accusata dai lavoratori. Inoltre l’accurata consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e la raccolta critica dei giudizi soggettivi dei lavoratori rappresenta un momento decisivo per l’integrazione delle conoscenze di quegli aspetti di rischio che sfuggono o sono sottovalutati dal management.
Il datore di lavoro e/o il valutatore utilizzeranno documentazione tecnica e scientifica in materia potendosi rivolgere anche ai Servizi di prevenzione e vigilanza delle Aziende Usl o ai centri regionali di documentazione.
1.4 Valutazione semplificata e primi approcci alla valutazione
Per incentivare la massima estensione dell'attività di valutazione da parte dei datori di lavoro si favorirà, soprattutto nelle imprese di piccole dimensioni e rischi modesti, la semplificazione delle procedure di valutazione, che dovranno essere tese a raccogliere le informazioni sufficienti, dati e notizie all’uopo pertinenti e rilevanti.
A tal fine sarà utile, nelle indicazioni da fornire alle imprese, chiarire che per "valutazione del rischio" è da intendersi principalmente l'individuazione dei possibili centri/fonti di pericolo per la sicurezza e la salute dei lavoratori, l'identificazione dei lavoratori potenzialmente esposti a rischio e la valutazione dell'entità dell'esposizione.
A tale proposito si potrà suggerire l'utilizzazione in prima istanza, ove possibile e adeguata, di metodi e criteri di valutazione approssimata del rischio in grado di distinguere chiaramente condizioni francamente accettabili da situazioni francamente non accettabili. Tali metodi possono consistere anche in valutazioni di tipo induttivo (quantità di materiale utilizzato, cubatura, ventilazione) o semiquantitativo. Sarà possibile di conseguenza identificare quelle situazioni in cui è necessario un approfondimento da realizzare con più complesse procedure analitiche.
Non è necessario, salvo casi particolari da individuare, che la "valutazione del rischio" comprenda stime probabilistiche di accadimento di guasti o di eventi accidentali così come, invece, previsto dalla normativa vigente per le imprese a rischio di incidente rilevante (DPR 175/88 e successive modifiche ed integrazioni).
Di grande utilità per l'utenza, accanto al modello di documento di valutazione proposto per le piccole e medie imprese con DM 5/12/96, sarà l'avvalersi di linee guida di valutazione con riferimento al settore e al comparto produttivo tenuto conto della variabile distribuzione dei diversi rischi lavorativi nei diversi settori.
E' questo un impegno che, in una seconda fase, potrebbe essere organizzato e coordinato a livello regionale utilizzando il lavoro già svolto dalle diverse strutture pubbliche di prevenzione ed individuando centri di riferimento per specifiche tematiche (es.: linee guida ISPESL).
Da quanto sopra emerge l'indicazione che l'elemento centrale degli adempimenti previsti dall'art. 4 appare essere "l'individuazione delle misure preventive e di protezione" definite o programmate, per la cui realizzazione dovranno essere scelti tempi e metodi congrui con la valutazione di gravità del rischio.
E' opportuno, a questo proposito, che vengano individuate scale qualitative circa l'urgenza dei provvedimenti da assumere, formulate anche in base ad eventuali programmi di sviluppo aziendali. Tenendo presente che non è accettabile mantenere in atto inadempienze a precisi obblighi di legge, dovranno essere definite misure accessorie di natura organizzativa o procedurale in grado di provvedere al controllo ed alla riduzione del rischio nel periodo che intercorre tra la sua individuazione e la messa in atto dell'intervento tecnico risolutivo.
Le fasi procedurali possono essere quelle proposte nel documento CEE (Tab. 4), ma a tal proposito va precisato che non sempre è possibile fare a priori una stima significativa della gravità degli effetti derivanti da un'esposizione e della probabilità che tali effetti si manifestino.
In tali casi è preferibile affidarsi ad uno studio approfondito della specifica situazione lavorativa e procedere secondo una logica squisitamente prevenzionistica.
1.5 Quando iniziare il processo di valutazione
La valutazione dei rischi e la stesura dei conseguenti atti documentali andava ravvisata, in sede di prima applicazione, come un processo che iniziava praticamente con l’entrata in vigore del D.Lgs 626/94 per trovare precisa formalizzazione entro l’1/7/96 per:
· le aziende industriali di cui all’art. 1 del Decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988, n. 175 e successive modifiche, soggette all’obbligo di dichiarazione o notifica, ai sensi degli articoli 4 e 6 del decreto stesso,
· le centrali termoelettriche,
· gli impianti e laboratori nucleari,
· le aziende per la fabbricazione e il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni,
· le aziende industriali con oltre duecento dipendenti,
· le industrie estrattive con oltre cinquanta lavoratori dipendenti,
- vedi l’art. 8, comma 5, lettere a), b), c), d), e) ed f) -, ed entro l’1/1/97 per tutte le altre attività lavorative. In altri termini, il tempo previsto andava inteso come la disponibilità, per i datori di lavoro, per attivare e portare a compimento il processo di valutazione e di eventuale programmazione dei relativi interventi di prevenzione.
Per le nuove attività lavorative il datore di lavoro è invece tenuto ad elaborare il documento di valutazione ovvero a redigere l'autocertificazione entro tre mesi dall'effettivo inizio dell'attività.
Ogni sforzo andrà operato affinché, presso i datori di lavoro, non si ingeneri la “convinzione” che ci si può cominciare ad occupare del problema solo alla scadenza dei termini.
Poiché la valutazione dei rischi complessivi presenti in una azienda e la stesura dei conseguenti programmi di prevenzione è, per lo più, un atto tecnico tutt'altro che semplice, diviene naturale suggerire ai datori di lavoro di reperire al più presto quelle competenze tecnico-professionali che li mettano in grado di assolvere adeguatamente al proprio compito, al di là della formalizzazione degli incarichi.
Per quel che riguarda la figura del medico competente, esso potrà essere formalmente incaricato (con documentazione scritta) sin da subito in tutti quei casi in cui la normativa vigente prevede un obbligo già definito a priori di sottoporre i dipendenti ad accertamenti sanitari periodici. A tal fine si farà riferimento alla tabella annessa all'art. 33 del DPR 303/56, al DPR 1124/65 per quanto riguarda il rischio determinato dall'esposizione a silice e ad asbesto, al DPR 962/82 per il rischio da CVM, al D.Lgs 277/91 per l'esposizione a piombo e a rumore, al D.Lgs 626/94 in caso di addetti a lavoro con VDT, così come definiti dall'art. 51.
Nel caso, invece, in cui la necessità e l'obbligo di sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria sia condizionato dalla preventiva valutazione dell'esistenza del rischio, come ad esempio nel caso della movimentazione manuale di carichi, dell'esposizione a cancerogeni e ad agenti biologici, la nomina del medico competente potrà essere effettuata successivamente una volta conclusa la fase di valutazione.
1.6 Chi concorre alla valutazione
L'obbligo di realizzare il processo di valutazione, controllo e gestione dei rischi lavorativi riguarda essenzialmente il datore di lavoro.
E' evidente tuttavia che dal punto di vista tecnico, operativo e procedurale il datore di lavoro dovrà allo scopo avvalersi di alcune competenze professionali e gestionali, peraltro in larga misura indicate ai commi 5 e 6 dell'art. 4 del D.Lgs 626/94.
In primo luogo è opportuno prevedere che al processo di valutazione/gestione dei rischi partecipi l'intera "linea" aziendale rappresentata dai dirigenti e dai preposti; gli stessi sono infatti, al contempo, depositari di importanti conoscenze e titolari di obblighi, per cui è opportuno prevedere un loro ampio coinvolgimento in questa fase del processo.
Alla valutazione collaborano altresì il responsabile (e/o gli addetti) del servizio di prevenzione e protezione nonché, ove previsto, il medico competente: essi forniscono il loro contributo di conoscenze, per il rispettivo ambito professionale, utili all'inquadramento (e qualificazione) dei rischi lavorativi e alle strategie più idonee per il loro contenimento.
La valutazione si avvale, inoltre, del contributo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza il quale da un lato, laddove adeguatamente formato (art. 22, comma 4), è a sua volta ravvisabile come una specifica risorsa tecnica, e dall'altro lato costituisce il punto di riferimento ed il collettore delle specifiche conoscenze, esperienza e valutazione dei lavoratori, che pure rivestono grande importanza nel processo di controllo dei rischi lavorativi, come d'altronde stabilito in diversi punti del decreto legislativo (si veda ad es. l'art. 4, comma 5, punto m; art. 5, comma 2, punti d ed h).
Infine, al processo di valutazione e gestione dei rischi partecipano, più o meno direttamente, i progettisti, i fabbricanti, i fornitori e gli installatori; gli stessi, infatti, nel rispettare il dettato dell'art. 6, devono anche fornire informazioni relative a criteri, ambiti e limiti per l'utilizzazione (sicura) di ambienti, impianti e strumenti di lavoro. La scrupolosa verifica del rispetto di tali criteri da parte degli altri soggetti protagonisti della valutazione rappresenta un ulteriore rilevante contributo al processo generale di valutazione e gestione dei rischi.
1.7 Le sanzioni previste
L'obbligo di valutazione generale sancito dall'art. 4, comma 1, che impone al datore di lavoro di valutare i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori nell'osservanza delle misure di sicurezza previste dall'art. 3, non è sanzionato; invece l'art. 89 prevede la sanzione, solo a carico del datore di lavoro, nel caso in cui il documento relativo alla valutazione ovvero l’autocertificazione non venga elaborato.
Il documento di valutazione dei rischi deve contenere una relazione sulla valutazione dei rischi che specifichi i criteri adottati per eseguire la valutazione, le misure di prevenzione e di protezione e i dispositivi di protezione individuale (DPI) individuati in conseguenza della valutazione dei rischi, il programma di attuazione delle misure ritenute opportune per migliorare i livelli di sicurezza.
Le disposizioni transitorie e finali determinavano l’obbligo di adottare le misure di cui all’art. 4 (commi 1, 2, 4 e 11) entro l’1/7/96 per le aziende di cui all’art. 8 comma 5, lettere a), b), c), d), e) ed f), entro l’1/1/97 per tutte le altre attività lavorative, mentre determinano l'obbligo di adottare le misure di cui all'art. 4 (ancora ai commi 1, 2, 4 e 11) entro tre mesi per le nuove aziende.
Tali disposizioni richiedono essenzialmente che la programmazione della sicurezza nei luoghi di lavoro sia avviata con i tempi, le cadenze, le forme e gli strumenti prescritti.
Eventuali inadempienze di procedura (effettuazione e tempi) nella elaborazione del piano di sicurezza sono sanzionate.
Non viene, al contrario, sanzionato l'errore di merito che possa essere commesso nell'individuazione dei rischi e delle misure di prevenzione. Il datore di lavoro non risponderà, quindi, sotto il profilo penale per aver commesso errori od omissioni nella valutazione ma se, in conseguenza di tale errore valutativo, avrà omesso le misure necessarie a tutela dei suoi dipendenti.
A tale principio si richiama l'attenzione dei Servizi di prevenzione e vigilanza delle Aziende Usl che dovranno utilizzare questo documento a peculiari fini di assistenza alle procedure di valutazione (vedi note del documento della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome “Prime linee di indirizzo per l'attuazione del D.Lgs n. 626/94 di recepimento delle Direttive CEE per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro”, febbraio 1995) e non già come indicazioni per contestare inadempienze relative a modalità o conclusioni della valutazione in merito alle quali il datore di lavoro si assume la responsabilità della correttezza degli atti compiuti e delle azioni programmate.
L'art. 89, comma 2, lett. a) prevede anche un’ammenda a carico del datore di lavoro nel caso in cui in occasione di modifiche del processo produttivo non effettui una nuova valutazione e non elabori un nuovo documento (art. 4, comma 7).
Per i cancerogeni (art. 63, comma 5) e gli agenti biologici (art. 78, comma 3) il datore di lavoro deve ripetere la valutazione, oltre che per significative modifiche nel ciclo di lavoro, ogni tre anni. Questa inadempienza è sanzionata.
L'art. 89, comma 2, prevede la sanzione nel caso in cui il datore di lavoro non si avvalga della collaborazione del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione e del medico competente, previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nell'effettuare la valutazione e nell'elaborare il documento (art. 4, comma 6).
Non sanzionato, invece, l’obbligo di inviare l’autocertificazione di cui all’art. 4, comma 11, al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Tale obbligo, infatti, è riportato nel secondo periodo dell’art. 4, comma 11, mentre la sanzione prevista dall’art. 89 riguarda solo il primo periodo.
Di fronte alla questione se il documento di valutazione debba o meno far menzione dell'eventuale riscontro di inadempienze a norme già vigenti è opportuno non incoraggiare la redazione di documenti falsi o incompleti.
Si indicherà al datore di lavoro la necessità di provvedere immediatamente, man mano che si evidenziano problemi di prevenzione, se si tratta di applicare soluzioni note, di semplice e rapida attuazione (posizionamento o ripristino di carter, fotocellule, finecorsa di sicurezza; rimozione di ingombri che impediscono l'apertura di porte/finestre e/o ostacolano la circolazione di mezzi o persone; chiusura contenitori, ecc.).
Nel caso di interventi che richiedono uno studio specifico o il ricorso a specialisti o sono comunque di più complessa attuazione dovranno essere programmati ed esplicitati nel documento prevedendo:
a) tempi di realizzazione congrui e contenuti;
b) misure tecniche, organizzative o procedurali idonee a limitare e controllare il fattore di rischio individuato, in attesa di una sua definitiva rimozione.
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